IL SIMBOLISMO DELLA VIOLA: IL RINASCERE DELLA VITA DAL SANGUE DI ATTIS

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La Viola è un fiore conosciuto fin dalla più remota antichità, come farebbe intendere il fitonimo di probabile origine pre-ellenica “íon”, che viene tradotto semplicemente come “bruno, scuro”, la sfera cromatica a cui si riferisce questo specifico termine, come conferma la parola iodnephés “scuro come la Viola”. Il suo colore deriva dalla fusione e dall’armonizzazione del rosso (simbolo di materialità, energia vitale, forza di volontà, caratteristiche propriamente maschili) con il blu (spiritualità, interiorità, sensibilità, caratteristiche femminili); rappresenta quindi l’androgino, l’unione dello yin e dello yang, la conciliazione degli opposti. Goethe definì il colore viola “unio mystica”, e Jung “colore metafisico”. Esso rappresenta  la porta dell’Aldilà, esprime l’idea di un passaggio ad un’altra dimensione, ed anche una sintesi della vita (rosso) e della morte (blu). Il termine ricorre in epiteti come Ioblépharos “dagli occhi di Viola”, per indicare la dea Afrodite, e Iostéphanos “coronata di Viole” che veniva attribuito sia ad Afrodite che alle Muse.
Le Viole ornavano i magnifici prati intorno l’antro di Calipso, la ninfa che tentò di trattenere Odisseo presso di sé e di renderlo immortale.
Pausania riporta una variante del ratto di Kore: la fanciulla intenta giocare e cogliere fiori con altre giovani, sarebbe stata attratta da un particolare fiore, solitamente il Narciso, ma in questa versione appare la Violetta. Non appena Persefone allungò la mano per cogliere il magnifico fiore, la Terra, che lo aveva fatto spuntare per attirarla e trarla in inganno, si aprì e ne emerse Ade, che, afferrata la ragazza, la trascinò nel suo sotterraneo reame. Forse a causa di questo inganno, Persefone rese le Viole più scure degli altri fiori, come dice Ateneo, ed anzi, da quanto si può desumere dalla sfera di significati legati alla Viola nella lingua greca, è proprio il fiore scuro per eccellenza, come per altro confermano altre sue denominazioni, ovvero “melanion” (scuro, nero) e “melanthium” (fiore scuro, nero).
Un altro mito riguarda Io, la fanciulla amata da Zeus e per ciò tramutata in vacca da Hera, costretta a vagare intorno al Mediterraneo, sferzata da un tremendo tafano. Un giorno la Madre Terra, impietosita per le sventure di Io, fece sorgere dai prati le Violette, affinché essa potesse cibarsene, e poiché erano a lei destinate, da essa presero il nome (íon).
Altra figura mitica legata alla Violetta è Ione, eroe eponimo degli Ioni, una delle antiche stirpi greche, il quale deve forse il suo nome a questi fiore. Le Viole infatti sarebbero state conosciute grazie ad un dono che le ninfe Ioniades, ovvero le “ninfe delle Viole” fecero a Ione al suo arrivo in Elide, intrecciando per lui una corona di questi fiori. Alle Ioniades fra l’altro, era dedicato un santuario, sempre in Elide, dove si trovava una sorgente curativa in grado di guarire da ogni dolore e malattia. Si ritrova qui, anche su un piano mitico e non solo erboristico, la capacità curativa di questa pianta, legata a spiriti femminili delle acque, e ciò non dovrebbe stupire più di tanto, visto che la Viola ha proprietà sudorifere, depurative, diuretiche, dermopurificanti, emollienti, antinfiammatorie, e dunque legate simbolicamente all’acqua, alle sue proprietà ed al suo scorrere.
Nell’antica Roma, il mito più noto che parla delle Viole è sicuramente quello di Attis, d’origine frigia ma importato a Roma già in età repubblicana.
Il mito, piuttosto lungo e complesso inizia con il desiderio di Zeus per la Grande Madre chiamata in Frigia Cibele, ovvero la Terra, sulla quale il Dio rilascia il proprio seme. Da esso nasce un’essere androgino, Agditis, dotato di grande furia e forza a causa della sua doppia natura; gli Dei allora lo evirano, e dal suo membro reciso spunta un Melograno (o un Mandorlo).
Nana, la figlia del fiume Sangario, si posa in grembo un frutto del magico albero, e così concepisce un figlio. Sangario persuaso della dissolutezza della figlia, tenta di farla morire di fame, ma la Grande Madre la nutre con delle mele e la aiuta a partorire. Tuttavia il padre espone il bambino in un canneto, ma il piccolo viene fortunatamente salvato ed allattato da una capra. Cresciuto, diviene un giovane bellissimo, che suscita l’amore sia di Cibele che di Agditis. Quando Attis si reca a Pessinunte per sposare la figlia del re, di nome Ia, Agditis lo rende folle, tanto da spingerlo ad evirarsi sotto un Pino; dal suo sangue versato spuntano le Viole. La ferita lo porta alla morte e la stessa Ia, addolorata per la fine dello sposo, si suicida e anche dal suo sangue nascono fiori di Viola.
Cibele porta il Pino nella sua grotta e Agditis pentito chiede a Zeus di riportare in vita il bel giovane, ma esso rifiuta, promettendo però di renderne il corpo incorruttibile. Agditis diventa quindi il primo sacerdote del culto di Attis a Pessinunte ed istituisce le feste primaverili in suo onore.
Il culto di Attis e della Grande Madre sottointendeva un ritorno alla vita del giovane. Infatti le feste di Cibele a Roma si svolgevano dal 22 al 28 Marzo, nel periodo dell’Equinozio di Primavera.
Dopo una settimana di purificazione detta “castus matri” (digiuno della Madre) dal 15 al 21 marzo, il 22, detto  “dies violae” (giorno della Viola), i sacerdoti di Cibele tagliavano un Pino e lo ornavano con bende di lana e serti di Viole, il fiore nato dalle stille del suo sangue. L’albero veniva condotto al tempio con una grande processione. Nei giorni successivi il Pino veniva sepolto con manifestazioni di lutto e tristezza, ma il 25 marzo, detto “hilaria” (giorno di gioia) si celebrava con grande allegria il ritorno alla vita di Attis. Il Pino sempreverde che sfida l’inverno rappresenta una promessa di sopravvivenza, di rinnovamento della vita, della Natura e degli stessi uomini, le Viole sono il mantenimento di quella promessa, le annunciatrici della vita che rinasce.

 

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